Martin Chamby
Cuzco, piazza centrale, sono ancora un po stordito dall’arrivo a 3300 mt, ma siamo comunque nel mezzo di una festa popolare (pare che in Perù ci siano decine e decine di occasioni per fare festa…). Vedo diversi fotografi che scattano nel mezzo della processione. Molti di loro hanno in mano le vecchie Olympus Pen f, e si muovono sicuri nella calca della situazione. Fantastico sulla possibilità che siano parte di TAFOS – Taller de Fotografia Social del Cusco – il gruppo di fotografi sociali operativo in quelle zone, le informazioni che ho fanno risalire la loro attività sino alla seconda metà degli anni 90. Il loro lavoro si é caratterizzato per un particolare impegno sociale e civile “The motives people in the village have for wanting photographs are personal, but cameras have the potential to allow campesinos to represent their thoughts and experiences to a wider world. Los Talleres de Fotografía Social (TAFOS) puts cameras directly into the hands of campesinos and residents of the pueblos jovenes and provides the technical assistance and forum needed to present their work. TAFOS not only facilitates the expression of indigenous ways of seeing, communities who have received cameras have been able to use them to support land claims and document human rights abuses…“. La storia della fotografia in Perù è quantomeno interessante soprattutto per l’attenzione alle culture locali e per la presenza di Martin Chambi, (1881-1973) il primo fotografo andino riconosciuto sul piano internazionale, anche grazie all’interessamento di Irving Penn. Dalla ricognizione fotografica di Machu Picchu, al paesaggio, alla ritrattistica della nascente borgesia di Cuzco e delle genti contadine e indigene, colte sempre con la capacità di restituire la dignità della loro identità culturale.
Ed è in questa piazza, in mezzo alla festa, agli scassati tromboni della banda musicale e al mio ondivago mal di testa che mi imbatto in un piccolo uomo con al collo una macchina di almeno 50 anni fa (non riesco a riconoscerla) sormontata da un flash che sembra poco più di un giocattolo. Ci squadriamo, lui guarda la mia macchina e io la sua. Un gringo interessato al suo attrezzo da lavoro. Gli chiedo, stentatamente, se fa il fotografo e lui mi risponde “Soy un fotógrafo independiente“. Fiero di averlo detto e di essere riconosciuto. Ha accettato di farsi fotografare e mi ha colpito l’uso dello sguardo, volutamente direzionato fuori dall’inquadratura, differente dallo sguardo in macchina a cui siamo abituati oggi nelle pose. In quel viaggio ho poi ritrovato questa fierezza, nelle foto di Martin Chambi (consultate al centro di documentazione Bartolomeo de Las Casas di Cuzco. Le sue foto sono presenti anche in altre biblioteche della città.). Una fierezza di cui forse abbiamo perso il senso, sostituito con altri significati identitari. Ritrovarla in una persona è un’esperienza da conservare.